Caro direttore,
anch’io, come tanti altri in questi giorni, sento il dovere di dare testimonianza della mia esperienza di queste ultime settimane. A fine ottobre sono stato contagiato dal Covid 19. Sono bastati pochi giorni per il manifestarsi di sintomi progressivamente più gravi. Sono stato ricoverato nel reparto Covid di Careggi. Mi è stata diagnosticata una polmonite interstiziale bilaterale molto aggressiva e sono stato sottoposto a terapia antibiotica antinfiammatoria, cortisone, trasfusioni di plasma, e aiutato nella respirazione con massicce dosi di ossigeno.
Sono rimasto dieci giorni nel reparto, e sono stati i dieci giorni più duri della mia vita. Vicino a me altre persone, nelle mie stesse condizioni, debilitate, febbricitanti, supportate con ossigeno e antidolorifici perché il virus aggredisce tutti gli organi interni e li sottopone a una durissima prova di resistenza, provoca dolori indicibili. Vicino a me anche il mio amato don Corso Guicciardini, che nel giro di pochi giorni è morto dopo avermi regalato l’ennesimo, prezioso esempio di pazienza, sopportazione e abbandono nelle mani di Dio. Sono stato curato con alcune trasfusioni di plasma iperimmune e salvato. Ora sono in convalescenza/quarantena, dopo aver lasciato rapidamente il posto letto a chi aveva pressante bisogno di cure ospedaliere. Sono ancora debole, la convalescenza sarà lunga quasi sicuramente più della quarantena e dunque ho tempo per riflettere su quanto mi è capitato e sta capitando in giro per il mondo.
Il fatto di aver vissuto dall’interno l’epidemia mi fa sentire l’urgenza di condividere l’esperienza, perché constato o troppa superficialità (soprattutto nei giovani) o troppe valutazioni politiche interessate a coprire incompetenze. In breve, queste settimane mi fanno capire come la salute e la vita di tutti non sia considerata un bene essenziale, un dono di Dio, ma troppo spesso un bene sacrificabile ad altre e più materiali priorità. Il primo pensiero è un ringraziamento, veramente dal profondo, a quanti, medici ed operatori sanitari, mi hanno seguito e curato. Che senso ha infatti produrre di più e indurre inutili bisogni? Che senso ha la ricchezza spropositata di alcuni e la povertà estrema di troppi altri? Che senso ha la ricerca di consenso solo per una affermazione personale e non per servizio alla persona? Che senso ha distruggere la natura per poi spacciare il disprezzo del creato come necessario… allo sviluppo. Quale sviluppo? Di cosa? Il secondo pensiero va a Papa Francesco che è, anche in questo tragico frangente, l’unica voce che si alza per indicare un orizzonte diverso: dalla pandemia si esce tutti insieme o non si esce, dalla pandemia non si esce come si è entrati, è necessario un profondo rinnovamento, dalla pandemia si esce non attraverso la rinuncia alle relazioni, agli affetti, ma attraverso la solidarietà, l’attenzione ai bisogni dell’altro, la costruzione e il rafforzamento di una comunità di persone che si sostengono, non si calpestano ma si aiutano, mettono in comune mezzi e conoscenze.
Sono uscito cambiato da questa esperienza: ora sento l’urgenza di una riflessione profonda, un approfondimento; voglio mettere a frutto quel che ho capito ed attraversato. Ho avuto bisogno di aiuto e l’ho trovato. Ora voglio essere a mia volta di aiuto per gli altri. Ho capito il valore del tempo e del suo utilizzo e lo voglio impegnare tutto in maniera positiva: è breve e non va sprecato. Ho capito quali sono le priorità nella vita delle persone, tutte: gli affetti, l’amicizia, la salute, la solidarietà. Ma non posso pensare di star bene con attorno dolore, disperazione e miseria, il benessere non può essere una condizione di privilegio. Siamo tutti fratelli o «Fratelli Tutti», come dice Papa Francesco. La traccia profonda di questo cammino la trovo in ogni pagina del Vangelo, la trovo nelle parole e nella vita di don Corso Guicciardini, padre di tantissimi di noi anche di diversa generazione, amico, fratello e compagno di strada.
Don Vincenzo Russo
Cappellano di Sollicciano