Giuseppe Pagano, IL CROCIFISSO DI MICHELANGELO RIENTRA IN SANTO SPIRITO
“Fece per la chiesa di Santo Spirito della città di Firenze un Crocifisso di legno”
Queste parole pronunciate dai biografi di Michelangelo offrono la certezza del forte legame che c’era tra Michelangelo e la Chiesa di Santo Spirito di Firenze e più ancora la sua amicizia con la comunità agostiniana, infatti gli stessi biografi affermano che Miche-langelo eseguì il Crocifisso “a compiacenza del prio-re di Santo Spirito”. In particolare un senso di gratitudine c’era in Michelangelo nei confronti del Priore Niccolò di Giovanni di Lapo Bichielli che gli aveva permesso di perfezionare gli studi sul corpo umano attraverso la dissezione di cadaveri. Possiamo forse dire con un po’ di presunzione e di vanto che in parte si forma qui il Michelangelo che poi riuscirà ad offrire quella perfezione anatomica che ritroviamo negli affreschi della Cappella Sistina.
L’opera giovanile del Crocifisso di Michelangelo, nasce allora all’interno di una comunità religiosa agostiniana, che nel XV° secolo a Firenze era un punto di riferimento per molti artisti e letterati (oltre Michelangelo possiamo richiamare i nomi di Boccaccio e Petrarca), ma anche tra gli stessi agostiniani troviamo delle menti eccelse. Infatti l’Ordine Agostiniano ormai era ben affermato a Firenze, poiché già al momento in cui nasce giuridicamente nella Chiesa (nel 1256), in Toscana aveva già una grande forza ed entusiasmo nel diffondere il patrimonio spirituale di S. Agostino. E gli Agostiniani di S. Spirito in circa trent’anni riescono a portare la loro fondazione all’avanguardia nell’Ordine e a proporsi alla realtà politica e letteraria del tempo.
Santo Spirito, come dicevo, ha contatti con Petrarca e Boccaccio, ma anche all’interno del convento ci sono figure di grande rilievo, come Dionigi da Borgo San Sepolcro che per primo conobbe il Petrarca, primo padre dell’Umanesimo, e insegnò all’Università di Parigi e amico di Roberto re di Napoli. Il re volle Dionigi a Napoli, dove conobbe anche il giovane Boccaccio, il quale lo chiamerà sempre: “il reverendo mio padre e signore maestro Dionigi”. Tra il Petrarca e Dionigi, non si trattò solamente di una relazione superficiale e di conoscenza esterna, ma l’agostiniano ebbe una forte influenza sullo spirito del poeta attraverso S. Agostino, di cui gli aveva regalato le Confessioni.
Il Petrarca ha anche contatti con l’agostiniano Luigi Marsili, uomo dottissimo, di profilo “umanistico”. Il Marsili raccolse l’eredità spirituale del Petrarca, amerà la sua cultura e venererà la sua persona; nelle sue lettere lo chiamerà infatti “lo mio signore”.
L’opera degli agostiniani, ed in particolare del Marsili, si inserisce in un contesto civile e in una convinzione interiore che vuole varcare un tecnicismo scolastico delle tradizionali scuole ecclesiastiche e religiose per aprirsi a nuove ma antiche sorgenti, ad un nuovo tipo di insegnamento e di scuola che porti la cultura nel mondo laico e civile.
L’Ordine Agostiniano si insedia a Firenze nel Convento suburbano di San Matteo a Lepore in Arcetri, già prima del 1250, portando quindi in città tutto il bagaglio spirituale e monastico di S. Agostino, che nell’esperienza della prima comunità cristiana dell’essere un cuor solo e un’anima sola protesi verso Dio, trova le fondamenta per offrire ai suoi seguaci una spiritualità fondata sulla comunione e la ricerca di Dio. Con uno stile guidato dalla ricerca della bellezza e dell’armonia.
E questo complesso brunelleschiano esprime proprio queste caratteristiche, che riportano con essenzialità al desiderio di vivere in un “Santo Spirito” che è un’isola di armonia, di bellezza e di silenzio.
Questo è il clima culturale e spirituale che respira Michelangelo all’interno del convento agostiniano e sicuramente avrà ricevuto quell’accoglienza che era tipica di S. Agostino, il quale attraverso il suo amore per la bellezza e l’armonia, trasmetteva agli altri il desiderio di un qualcosa in più rispetto a quello che si può vedere con gli occhi e toccare con le mani del corpo.
Michelangelo ancora giovane, diventa così capace di esprimere e comunicare sentimenti ed emozioni forti che partono dalla realtà, ma che sanno andare oltre. Non mi è facile oggi pensare che una persona così giovane sia riuscito ad esprimere un contenuto così forte attraverso un pezzo di “tiglio”. Lui non si è accontentato di esprimere una bellezza estetica esteriore attraverso il suo Crocifisso e questa ci sta tutta, ma è riuscito ad offrire attraverso la sua “creatura” un messaggio di alta teologia e mistica. Non ha paura di offrire un’immagine nella sua più “nuda” umanità e anche sofferenza, ma un dolore che non è fine a se stesso, ma si trascende, fino a toccare una bellezza “indicibile”, quella bellezza e serenità che può offrire solo la certezza di credere che oltre quella croce, quel dolore, quel sangue versato, c’è un’altra dimensione che è quella della vera vita.
Quando guardo e contemplo il volto di questo Cristo, mi accorgo che ti offre diverse espressioni, da quella più seria, direi quasi severa, a quella più serena, che quasi accenna ad un sorriso. Se poi ti fermi ad osservare tutto il corpo ti accorgi che c’è un movimento che ti aiuta ad uscire dall’immagine del dolore e ti proietta verso una dimensione che appartiene all’eterno e all’infinito. In effetti rispecchia tutta la struttura della Chiesa del Brunelleschi, la quale fin dal momento in cui vi entri ti senti coinvolto in un clima di serenità, perché non percepisci nulla che ti schiaccia o che ti limita.
Non si vuole togliere nulla al valore artistico dell’opera, però sarebbe un vero peccato fermarsi solo a questo aspetto. A volte il turista si può far prendere solo da questa dimensione, ma credo che il ruolo di una Chiesa, di una Comunità, in questo caso quella Agostiniana, debba essere proprio quello che avevano i nostri antenati: aiutare ad andare oltre ciò che si vede e si ammira nella sua bellezza esteriore. Essere attenta ad un dialogo con la società, la vita civile e politica, mantenendo sempre la sua fisionomia, una comunità capace cioè di dire ancora oggi attraverso anche quest’opera, all’uomo di oggi, il valore della “croce” ed una croce che non va vista solo nel suo lato di sofferenza, ma di educare al coraggio di credere che oltre l’immagine del volto sofferente, c’è anche quella del volto glorioso.
Come la definiva don Tonino Bello, quella della Croce è una “collocazione provvisoria”. E rivolgendosi a chi soffre diceva: “Coraggio, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non imprecare, sorella che ti vedi distruggere giorno dopo giorno dal male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero che non sei calcolato da nessuno. Coraggio! La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”.
Sembra che don Tonino abbia pregato davanti a questo Crocifisso di Michelangelo. La sua è davvero una posizione provvisoria, perché non è statica, ma è in movimento, come a dire: non tutto finisce qui!
Questo è per noi credenti, e come comunità agostiniana, vogliamo ribadirlo e annunciarlo a tutti, il valore ed il senso di avere un Crocifisso di così grande valore, in un luogo raccolto, quale è quello della nostra Sacrestia, perché il volerlo vedere non sia solo per una curiosità artistica, ma anche per cercare di comprendere quello che Michelangelo nella sua giovane età ci ha voluto dire.
E’ proprio un bel regalo quello che Michelangelo ha fatto al Priore di S. Spirito e alla sua comunità! E noi ancora oggi vogliamo sentirci onorati e orgogliosi di questo dono e vogliamo custodirlo e difenderlo solo da sguardi “curiosi” e bramosi di pura “sete artistica” e condurli verso quell’oltre a cui anche il grande artistica fiorentino ha voluto portare i suoi contemporanei, in particolare i religiosi agostiniani che tanto lo hanno stimato e accolto.
Padre Giuseppe Pagano
Priore S. Spirito