Pubblichiamo l’Omelia del Cardinale di Firenze Giuseppe Betori, pronunciata il 10 maggio in occasione della Festa dei Santi Zanobi ed Antonio, Patroni della Chiesa Fiorentina
La festa dei Patroni della Chiesa fiorentina invita a riflettere sulla nostra identità di credenti e di comunità cristiana. Per questo ci mettiamo all’ascolto della parola di Dio che è stata oggi proclamata. Lo facciamo cominciando dalla pagina evangelica, che parla delle radici della nostra esistenza di fede, ricordandoci che essa non nasce da una nostra decisione, ma è il frutto di una scelta, di una chiamata che viene da Cristo: «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto» (Gv 15,16). La Chiesa non sorge dal convergere di persone che condividono una visione del mondo, un obiettivo storico, un modello di vita. La Chiesa nasce dal cuore stesso di Cristo, che ci trasmette l’amore del Padre: è un disegno divino che si fa storia, e solo attingendo a questa radice soprannaturale può trovare alimento per la sua esistenza e risorse per il suo rinnovamento.
Questo primo dato va ribadito con forza mentre come Chiesa fiorentina siamo da qualche tempo impegnati nel Cammino sinodale e come Chiesa italiana ci accingiamo ad accogliere l’esortazione del Papa a fare altrettanto: un Cammino sinodale per l’Italia. È per noi motivo di particolare responsabilità il fatto che il Papa colleghi questo invito al Convegno che la Chiesa italiana celebrò qui a Firenze nel novembre del 2015: «La Chiesa italiana riprenderà […] il Convegno di Firenze, per toglierlo dalla tentazione di archiviarlo, e lo farà alla luce del cammino sinodale […] che incomincerà da ogni comunità cristiana, […] dal basso fino all’alto. E la luce, dall’alto al basso, sarà il Convegno di Firenze» (Discorso al Consiglio nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021, n. 3).
Parlando di Cammino sinodale il Papa chiarisce che «dobbiamo essere precisi, quando parliamo di sinodalità, di cammino sinodale, di esperienza sinodale. Non è un parlamento […]. La sinodalità non è la sola discussione dei problemi […]. La sinodalità non è cercare una maggioranza, un accordo sopra soluzioni pastorali che dobbiamo fare. […] Quello che fa che la discussione, il “parlamento”, la ricerca delle cose diventino sinodalità è la presenza dello Spirito» (Ivi). Con il linguaggio del vangelo secondo Giovanni diremmo che essere Chiesa, una Chiesa che esprime la propria natura nella
sinodalità, è rimanere nell’amore di Gesù e del Padre suo: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Senza questa radice spirituale non c’è Chiesa: c’è un’organizzazione di solidarietà, ma non c’è Chiesa.
Di questo erano ben consapevoli i nostri Patroni, che ci hanno offerto una testimonianza di santità nella loro esistenza trasformata dallo Spirito e attraverso di essa hanno contribuito in modo significativo a dare forma alla nostra Chiesa nella retta fede e nella carità operosa. È il frutto di cui parla Gesù nel vangelo, che sgorga dall’accoglienza della sua chiamata e del suo mandato e si manifesta nella comunione creata dall’amore reciproco.
Quali siano le condizioni di questa comunione lo ricorda san Paolo ai cristiani di Efeso, richiamandoli all’umiltà, alla dolcezza e alla magnanimità, al farsi carico gli uni degli altri. Alla radice di queste virtù si pone la fede in un solo Dio e Padre e in un solo Signore, la fede consegnata a noi nel battesimo, da cui scaturisce la speranza che fa camminare nella storia con fiducia e mantiene uniti nello spirito. Lo scopo è indicato così dall’apostolo: rendere presente nella storia Cristo in tutta la sua pienezza, per rivelare in lui al mondo la pienezza del divino e la pienezza dell’umano. Perché questa è la missione della Chiesa: mostrare al mondo che la pienezza del desiderio del cuore umano può essere appagata solo dalla persona di Gesù nostro Signore.
A questo disegno divino deve contribuire ciascun credente. Ci sono alcuni a cui è affidato un ministero con cui porsi al servizio dei fratelli – apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri (cfr. Ef 4,11) –, ma ogni discepolo di Gesù partecipa all’edificazione della presenza del Signore nella storia. C’è ancora molta strada da fare per superare un’immagine di Chiesa in cui alcuni operano a vantaggio degli altri e molti ricevono senza un reale coinvolgimento. Anche in questo l’esperienza sinodale è essenziale. Ricorro ancora alle parole del Papa: «Una Chiesa del dialogo è una Chiesa sinodale, che si pone insieme in ascolto dello Spirito e di quella voce di Dio che ci raggiunge attraverso il grido dei poveri e della terra» (Discorso al Consiglio nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, n. 3). Sono indicazioni che vanno ben oltre le categorie dei cristiani impegnati, oppure, all’altro limite, dei cristiani della soglia. Il Papa è ancora più deciso, ripetendo e precisando: «La Chiesa del dialogo è una Chiesa sinodale, che si pone insieme in ascolto dello Spirito e di quella voce di Dio che ci raggiunge attraverso il grido dei poveri e della terra. In genere, anche i peccatori sono i poveri della terra. In effetti,
quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, una decisione pastorale da prendere, ma anzitutto uno stile da incarnare» (Ivi).
Ciò non toglie che, in questa connessione di molteplicità e unità, un ruolo fondante sia affidato agli apostoli e ai loro successori, come garanti di verità e di comunione. La dimensione articolata della comunione ecclesiale apre a un’esperienza di fede che evita l’appiattimento dell’uniformità e si rivela invece come il luogo della ricchezza che scaturisce dalla varietà. Occorre però prendere atto che la molteplicità dei doni, dei carismi e dei servizi non decade nella confusione e nel disordine grazie alla funzione del pastore, chiamato a orientare il contributo di tutti verso l’armonia della verità di cui è garante. È questo il ministero del vescovo nella Chiesa, che egli condivide con il presbiterio a lui strettamente unito non come un privilegio di potere, ma come un servizio di legame con le radici apostoliche da cui la Chiesa si muove per mandato del Signore. Questo servizio noi riconosciamo nel ministero esemplare dei santi Zanobi e Antonino per la nostra Chiesa.
Lo riconosciamo nella diffusione e nella difesa della fede che fu opera peculiare di san Zanobi, nella professione della piena uguaglianza delle tre divine persone nell’unico Dio, dell’unica persona di Cristo nell’unità di natura divina e umana, della pertinenza della fede alla storia e quindi della sua capacità di illuminare le scelte degli uomini. A questa ortodossia della fede non potremo mai rinunciare, per fedeltà a Cristo e ai suoi santi.
A sua volta a sant’Antonino dobbiamo un magistero che illuminò il legame della fede alla storia, orientando a comprendere l’evoluzione dell’economia alla luce di criteri evangelici, come pure intervenendo a difesa dei poveri contro i potenti del tempo.
Così i due santi hanno assolto a quel compito di custodia del gregge di Cristo che nel discorso agli anziani di Efeso san Paolo attribuisce ai pastori che lascia a governare le Chiese da lui fondate. Un compito da svolgere nella consapevolezza che la Chiesa non è dei pastori umani ma di Gesù, che ha donato la sua vita per lei, e che questo compito esige la virtù della vigilanza, del discernimento con cui giudicare i tempi alla luce dello Spirito. Un compito per il quale non bastano risorse umane ma occorre il dono della grazia. Per questo il vostro vescovo rinnova l’esortazione a essere da voi affidato «a Dio e alla parola della sua grazia» (At 20,32).
Giuseppe card. Betori