Su ToscanaOggi del 9 giugno è stato pubblicato un articolo di Antonio Lovascio dedicato al volume “Titulus crucis” di Marco Zini, che sarà presentato martedì 18 giugno in Santo Spirito, Lo pubblichiamo integralmente, ringraziando il settimanale ed il suo direttore Domenico Mugnaini per l’attenzione, nonché l’autore stesso, caro amico della Comunità Agostiniana.
Chiusura in crescendo per il ciclo primaverile dei Convegni di Santo Spirito 2024, un itinerario tra arte e fede dedicato alle reliquie e alla santità, come continuazione della grande reverenza che sant’Agostino aveva per i santi. Martedì 18 giugno alle ore 17.30, con l’intervento del priore padre Giuseppe Pagano e di Lorenzo Calvani , la comunità agostiniana di Firenze presenterà lo studio di Marco Zini sul «Titulus crucis» del Crocifisso ligneo di Michelangelo.
Il testo in italiano e inglese, è riprodotto in un volume a colori su progetto grafico di Massimo Capaccioli con foto e immagini di Albino
Todeschini , edito da «La Vela» (prezzo 10 euro). Come scrive nella prefazione padre Pagano, la ricerca di Marco Zini (che si è avvalso della
preziosa consulenza tecnico-artistica di Antonio Natali) è una risposta ai numerosi visitatori della Basilica e in particolare della Sacrestia ottagonale di Giuliano da Sangallo, dove appunto trova dimora il Crocifisso di Michelangelo. Visitatori che – a volte lontani dalla fede o di altre religioni – sono molto incuriositi dal Titulus crucis, spesso chiedono cosa c’è scritto e cosa significa. Sappiamo che l’iscrizione
rappresenta la motivazione della condanna a morte di Gesù sul Golgota pronunciata da Pilato, ma si differenziano le versioni degli stessi
evangelisti. Michelangelo scolpendo la sua opera nel 1493 nel convento agostiniano fiorentino, ha fatto sua quella di Giovanni («Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei»), ma in ordine diverso da quello usato dal Battista: la prima riga è scritta sicuramente in ebraico, la seconda in greco e la terza in latino. Ispirandosi quasi certamente alla sensazionale scoperta di una tavoletta nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, avvenuta l’anno prima, notizia che aveva raggiunto e colpito la curiosità della corte di Lorenzo de’ Medici, grande protettore del giovane Buonarroti. Per Marco Zini, che passa in rassegna anche la Crocifissione di altri grandi artisti (in primis quelle del Beato Angelico e di Luca Signorelli), questa è un prova di autenticità. Un’ulteriore prova di paternità di Michelangelo dell’intero crocifisso ligneo, perché coincide storicamente con il periodo in cui frequentava il Magnifico e, appena poco dopo, anche Santo Spirito. Eppure nonostante il
Titulus crucis, il capolavoro per alcuni critici non poteva essere opera di Michelangelo. Non dobbiamo dimenticare che la statua lignea, al
momento in cui è riemersa nel settembre 1962, presentava una pesante ridipintura che alterava le sue forme anatomiche, trasformandola in una figura umana quasi rachitica. La capacità della storica dell’arte tedesca Margrit Lisner fu appunto quella di notare nel movimento del bacino, nel lieve accavallamento della gamba destra su quella sinistra dei segni distintivi dello stile michelangiolesco. E così autorevolmente, seguita dalla soprintendenza, ha attribuito all’autore della cappella Sistina la scultura che ora ammiriamo al centro della sacrestia del Sangallo. È il Crocifisso che era dato per scomparso già dal XVII secolo, citato dai biografi Condivi e Vasari. Questo studio, oltre a soddisfare la curiosità di molti, aiuta a capire il messaggio che l’artista, amico degli agostiniani di Santo Spirito, ha voluto lasciare ai posteri.
Antonio Lovascio
(Pubblicato su ToscanaOggi del 9 giugno 2024)